Roma – Effetti pandemici, inflazione, rincaro energetico: oggi la sopravvivenza per un’azienda italiana è davvero un’impresa. L’unica strada è cambiare: ottimizzando il consumo energetico e rendendo quanto più circolari i processi produttivi. E oggi grazie al mix tra innovazioni tecnologiche e le disposizioni del recente “decreto biometano”, moltissime aziende italiane possono riutilizzare il calore sprecato, generare biometano ed autoprodurre CO2. Come? Lo ha spiegato a Wired Roberto Salmaso, general manager di Sebigas Renewable Energy. Il caro-energia ha colpito tutti gli impianti produttivi. Molti tra questi producono acque reflue e hanno una procedura per trattarle, al fine di abbattere la loro portata inquinante. Si tratta soprattutto di aziende lattiero-casearie, agro-zootecniche o anche birrerie, distillerie, imprese del beverage come quelle dedicate ai succhi di frutta o ancora le industrie cartarie. In tutti questi settori si producono acque reflue che possono diventare una risorsa importante per riutilizzare il calore, produrre energia e recuperare CO2. Si parte dall’uso di “un reattore anaerobico che, in assenza di ossigeno, intercetta reflui di processo e materia organica per trasformarla in biogas – precisa Salmaso – Abbiamo un nostro prodotto molto competitivo ma in generale questo tipo di reattori si trova sul mercato. Apparecchiature capaci di intercettare i reflui per creare carbonio che può essere trasformato in biogas, utilizzando la sostanza organica”. Pochissime aziende italiane si sono dotate di reattori o macchinari simili per questo tipo di finalità: “Solo pensando alle aziende lattiero-casearie della Lombardia, si tratta di meno dell’1%. Se saliamo a livello nazionale, i numeri sono ancora più relativi: quindi si apre un mercato enorme per il trattamento delle acque reflue”